Con la sentenza emarginata in oggetto il Consiglio di Stato, aderendo integralmente al decisum già reso dal TAR a definizione del primo grado, ha sostanzialmente ribadito come lo schema al quale i Comuni devono conformare, nell’ambito della disciplina regolamentare, la facoltà discrezionale riconosciutagli dal legislatore in materia di attività pubblicitaria lungo le strade (o in vista di esse) è quello dell’“(…) ammissibilità ordinaria dell’installazione di mezzi pubblicitari e – di – divieto eccezionale per specifici impianti, – ma solo – in presenza di superiori esigenze di pubblico interesse (…)”.
Ha pertanto rigettato l’appello promosso dal Comune di Chiari il cui regolamento, capovolgendo illegittimamente il predetto schema, aveva introdotto un divieto generalizzato all’installazione, rendendolo ipotesi ordinaria nell’ambito della collocazione degli impianti stradali, e prevedendone invece l’autorizzazione quale ipotesi eccezionale in deroga, senza che un siffatto stravolgimento fosse giustificato da superiori esigenze di pubblico interesse meritevoli di salvaguardia. Il descritto capovolgimento integra, come espressamente rilevato nella pronuncia in commento, un uso distorto e sviato della potestà regolamentare in materia pubblicitaria “(…) con il risultato di comprimere fortemente e senza giustificazione alcuna l’attività pubblicitaria sul territorio comunale (…)”.
Il provvedimento di divieto, pure riconosciuto come caratteristico dell’agire amministrativo, quand’anche previsto dal regolamento comunale, deve pertanto essere supportato da una ragione specifica e fare capo “(…) alle singole norme di legge, frequentemente consistenti in svariate riserve di legge assolute o relative (…)” senza esorbitare dai limiti legislativi, come avvenuto nel caso sottoposto al giudizio, derivando da un eccesso quale quello attribuito al Comune di Chiari una inammissibile compromissione di interessi primari e costituzionalmente tutelati quali la libera iniziativa privata.
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