Il presente lavoro vuole essere solo uno spunto di riflessione e non una incontrovertibile risposta ai molteplici interrogativi che la normativa oggetto di disamina quotidianamente pone agli operatori del settore. La riforma del Legislatore, per i termini in cui è stata presentata, non si presta di certo a prese di posizioni inconfutabili e univoche. I dubbi derivanti dalla nuova disciplina sono di ampio respiro. Citiamo ad esempio quello relativo alla natura dell’entrata: di natura patrimoniale o di natura prettamente tributaria? Menzioniamo anche l’inspiegabile “distrazione” del Legislatore che nell’articolo 1, comma 818, della Legge 27 dicembre 2019, n. 160, si è conclusa con una grave confusione tra comuni e centri abitati.
La riflessione che si vuole stimolare riguarda soprattutto il disordinato intervento che ha interessato l’individuazione del soggetto attivo dell’entrata, un caos di commi che sta inducendo le Amministrazioni (città metropolitane e comuni), nonostante il contenuto dell’articolo 1, comma 820, a far ricorso comunque a una sorta di doppia imposizione.
Avanzando con ordine. Stante il settore che ci interessa, procediamo alla disamina della Legge di Bilancio 2020, avendo come riferimento la vecchia Imposta Comunale sulla Pubblicità (ICP).
Come noto nel previgente Decreto legislativo del 15.11.1993, n. 507, articolo 1, era espressamente riferito come si trattasse di imposta di spettanza comunale. Si leggeva infatti che: “La pubblicità esterna e le pubbliche affissioni sono soggette, secondo le disposizioni degli articoli seguenti, rispettivamente ad una imposta ovvero ad un diritto a favore del comune nel cui territorio sono effettuate”.
Con l’entrata in vigore della Legge 27 dicembre 2019, n. 160, la logica che ha ispirato il prelievo appare del tutto sovvertita (non è dato comprendere quanto volutamente dal Legislatore).
Non vi è più un articolo che espressamente riservi l’ICP (Canone Unico) ai Comuni (quando si discuta di impianti pubblicitari) ma vi è una trama legislativa farraginosa che tenta di conciliare una riforma radicale in pochi articoli (commi) sibillini e il più delle volte indecifrabili.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 816, della legge di Bilancio 2020 a decorrere dal 2021 è istituto il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria. Il canone sostituisce una serie di entrate “limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province”. Il Canone Unico è, quindi, sia comunale sia provinciale. Tuttavia come individuare il cosiddetto legittimato attivo a percepire l’entrata (patrimoniale, tributaria?) nel singolo caso specifico. In assenza di una norma quale l’articolo 1 del Decreto Legislativo 507/1993, pare che il Legislatore, proprio nella difficoltà in cui si è trovato, di dover conciliare in pochi articoli quella che voleva essere una “rivoluzione” organica del settore, poco ha detto sul punto, lasciando intendere comunque che il soggetto andasse rinvenuto non tanto in una Amministrazione precisa quanto piuttosto nel titolare dell’area in cui insiste il mezzo pubblicitario.
Vale la pena menzionare i seguenti commi dell’articolo 1. Ad esempio, il comma 818 dove è riportato che “Nelle aree comunali si comprendono i tratti di strada situati all’interno dei centri abitati di comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”. La norma richiamata dispone che le strade urbane di cui al comma 2, lettere D, E e F, sono sempre comunali quando siano situate nell’interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti.
Tralasciando per il momento ogni valutazione circa l’eventuale errore in cui il Legislatore può essere incorso nel fare riferimento ai Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti (quando forse più opportunamente avrebbe dovuto riferirsi ai centri abitati), ciò che interessa in questa sede è il rilievo attribuito dal Legislatore al criterio dell’ “Area di competenza”.
Nella Legge 27 dicembre 2019, n. 160 in più passi appare volersi dare rilievo alla titolarità dell’area in cui insiste l’occupazione.
Ai sensi del comma 821 il canone è disciplinato dagli enti con regolamento adottato dal consiglio comunale o provinciale. Ai sensi del comma 820 l’applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui alla lettera b) del comma 819 esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni di cui alla lettera a) del medesimo comma.
In forza del comma 819 il presupposto del canone è: a) l’occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico; b) la diffusione di messaggi pubblicitari, anche abusiva, mediante impianti installati su aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti, su beni privati laddove siano visibili da luogo pubblico o aperto al pubblico del territorio comunale, ovvero all’esterno di veicoli adibiti a uso pubblico o a uso privato.
Si fa sempre riferimento al concetto di appartenenza dell’area. L’impianto offerto dal Legislatore è quello che vuole come soggetto titolato a ricevere il pagamento del canone quello che risulta proprietario dell’area in cui insiste il mezzo.
Il Comma 819, nelle lettere a) e b) fa menzione ad “aree”, ossia aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti.
Per effetto della Legge 27 dicembre 2019, n. 160, occorre avere come riferimento la proprietà (competenza) dell’ “area” come individuata nel comma 818. Se un impianto pubblicitario, ai fini della L. 160/2019, articolo 1, comma 818, è presente all’interno di un’area comunale, questo, ai sensi della stessa L. 160/2019, non può trovarsi all’interno di un’area provinciale (e viceversa). Ciò esclude a priori doppie imposizioni (non volute proprio dal comma 820 e comunque inficiate, ove volesse darsi una connotazione tributaria dell’entrata, da profili di incostituzionalità ex art. 53).
Quindi:
– Se si discute di strada provinciale fuori dal centro abitato: il canone unico è di competenza della sola Provincia in quanto l’area è provinciale;
– Se si discute di strada provinciale all’interno di centro abitato con popolazione (del comune o del centro abitato) inferiore a 10.000 abitanti: il canone unico è di competenza della sola Provincia in quanto l’area è provinciale;
– Se si discute di strada provinciale all’interno di centro abitato con popolazione superiore (del comune o del centro abitato) a 10.000 abitanti: il canone unico è di competenza del solo Comune in quanto l’area è comunale;
– Se la strada è Comunale, nulla quaestio: il canone è del Comune in quanto area comunale.
Il quadro normativo che emergere dalla L. 160/2019 appare sin troppo evidente, tuttavia vi è da chiedersi se sia proprio quello voluto dal Legislatore e se comunque reggerà di fronte alla giurisprudenza, stante la frequente offerta di soluzioni intermedie finalizzate a non pregiudicare le ragioni di bilancio degli Enti pubblici.
Per concludere può essere utile un’ultima riflessione. Il comma 827 nell’individuare le tariffe standard richiama genericamente le “fattispecie di cui al comma 819” (del resto il canone è unico). Nella individuazione delle tariffe standard il legislatore, nei commi 826 e 827 dell’articolo 1, riporta una quantificazione di massima sulla base del numero di abitati dei comuni. Nel comma 828 è scritto che: “Per le province e per le città metropolitane le tariffe standard annua e giornaliera sono pari a quella della classe dei comuni fino a 10.000 abitanti”. La precisazione non è di poco conto. Si torna a fare riferimento a comuni fino a 10.000 abitanti. L’annotazione è di un certo effetto considerato il tenore del comma 818.
Riguardo al comma 818 sono tuttavia nuovamente disorientanti i documenti parlamentari. Ad esempio, nel dossier del 2.4.2020 del Senato della Repubblica, riguardante la Legge di Bilancio 2020, volume III, si legge: “Il comma 818 ricomprende nelle aree comunali i tratti di strada situati all’interno dei centri abitati di comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”.
In buona sostanza, trattasi di legge scritta male, sulla quale, in assenza di un intervento del Legislatore, difficilmente si avranno risposte chiare e univoche da parte delle autorità chiamate a interpretarne il contenuto.
STUDIO LEGALE FUSCO FRIGNANI